A guardare i dati americani, qualche segnale di scricchiolio l’economia comincia ad averlo. A giugno sono stati creati 209.000 posti di lavoro, a fronte dei 225.000 stimati: il numero più basso dal 2020 ad oggi. Di contro, il tasso di disoccupazione è sceso dal 3,7% al 3,6%: un dato, quello sul numero dei disoccupati, influenzato da diversi fattori, quale, per esempio, quello delle persone che hanno deciso di non cercare, almeno per il momento, un posto di lavoro, “scomparendo” dal radar delle statistiche. Pur essendo inferiore alle previsioni il numero dei nuovi occupati, non si è fermato l’aumento dei salari, salito dello 0,4% mensile, portando la crescita annuale al 4,4%, percentuale non lontana dalla media dell’inflazione USA, fatto che non può certamente rendere tranquilli i sonni della Federal Reserve. Peraltro piuttosto “compiacente” sembra la politica, con Biden che mette in risalto i 30 mesi filati di aumento dell’occupazione, con la creazione, in circa 2 anni e mezzo, di oltre 13,2 ML di nuovi occupati. Quasi un “assist” a Powell, che difficilmente potrà esimersi dal ritocco in programma per fine luglio.
Come in medicina si fa ricorso al “coma artificiale” per ridurre le sofferenze per i pazienti e migliorare l’efficacia delle cure, così in economia è probabile il ricorso alla recessione per raffreddare i prezzi. Si sa che difficilmente possono scendere se i tassi rimangono inferiori al loro livello: negli USA, non a caso, già oggi sono al 5-5,25% con un indice dei prezzi che si aggira intorno al 4,5%, mentre in Europa, a fronte di tassi al 3,50/4% troviamo un’inflazione ancora superiore al 6%. Motivo che potrebbe spingere Powell a “forzare la mano”, per ulteriormente “zavorrare” l’inflazione riportarla verso il 2%. Più arduo il compito della Lagarde, in considerazione anche delle differenze non lievi che molti Paesi membri dimostrano sullo stato delle loro singole economie.
Le statistiche ci dicono che dal momento in cui la Banca Centrale americana ha invertito la rotta, interrompendo il ciclo rialzista, prendendo in esame gli ultimi 10 cicli di rialzo, soltanto 2 volte l’economia Usa non è scivolata in una recessione. Nelle altre 8 occasioni, 2 volte la recessione era già presente, mentre per le altre 6 volte si è immancabilmente presentata in un tempo compreso tra i 2 e i 17 mesi.
Quasi paradossale, invece, l’andamento dei listini.
Prendendo sempre a riferimento i 10 casi citati, l’indice S&P 500, l’indice “benchmarck” per definizione, nei 6 mesi successivi all’ultimo rialzo della FED, è cresciuto mediamente del 5,5%, che arriva al 9,1% se osserviamo l’andamento dei 12 mesi successivi. Se poi la recessione dovesse solo “sfiorare” l’economia o essere meno “profonda” del temuto, allora lo scenario, per i mercati, potrebbe ulteriormente migliorare, come nel 1984 e nel 1995, quando toccò il 13,4% in 6 mesi e il 24,2% in un anno.
Questa mattina mercati asiatici mediamente in crescita.
Debole il Nikkei, a – 0,61%; segnali di maggior forza, invece, per Shanghai (+ 0,22%) e Hong Kong, con l’Hang Seng a + 0,81%.
Da segnalare, sul fronte cinese, lo stop, nel mese di giugno, alla crescita dei prezzi, con l’inflazione sugli stessi livelli del mese precedente, mentre i prezzi alla produzione scesi del 5,4%.
Futures ovunque in discesa, con quelli Usa intorno a – 0,30/0,40%.
Petrolio in lieve ribasso, con il WTI a $ 73,41, – 0,70%.
Gas naturale Usa $ 2,642, + 2,21%.
Oro a $ 1.930,6, – 0,19%.
Spread a 170 bp, con il BTP al 4,36%.
Treasury al 4,076%.
€/$ a 1,095, con il $ in indebolimento.
Bitcoin che cerca di rimanere aggrappato ai $ 30.000 (30.096).
Ps: chi, almeno una volta, da ragazzo, non ha giocato con gli aquiloni. Gioco che, in molti casi, si trasforma in veri e propri campionati. Ma non tutti sanno che, per alcune religioni, hanno un contenuto religioso. Come, per esempio, per gli abitanti di Bali, in Indonesia, per i quali è un modo per inoltrare dei messaggi agli dei. Una sorta di “messagge in the bottle”.